Julien Friedler
Julien Friedler (Bruxelles, 1950)
Friedler è una figura singolare nel panorama dell’arte contemporanea. Il passato letterario, la formazione come psicanalista, l’amore per la filosofia e la scrittura di diverse opere erudite, nonché il suo gusto per i viaggi e per l’incontro con realtà diverse e spesso lontane hanno edificato la base di un pensiero labirintico che vede nelle arti visive un’emblematica ipotesi realizzativa. Dipinti, sculture, installazioni sono i portavoce di un immaginario ricolmo, e costituiscono i segni visibili di una verità mitica che l’artista sviluppa attraverso tematiche dal taglio molto personale. L’artista belga si fa portatore di una visione umanista, delineata tramite le opere ma anche con un’attività di condivisione che porta avanti attraverso Spirit of Boz, associazione nata per instaurare – praticando l’espressione orale, letteraria, pittorica e creativa in generale – scambi e legami, costituendo così una comunità di pensieri e testimonianze su realtà individuali e collettive, provenienti da svariati luoghi del mondo. Tale realtà esprime l’urgenza di riconciliare azione e contemplazione, nell’intento di promuovere un pensiero umanista e catartico. Il suo universo, in evoluzione permanente, comporta sfaccettature contrapposte, le une d’ispirazione collettiva, le altre di meditazione individuale. È a quest’ultimo aspetto che appartengono la produzione pittorica. L’arte di Friedler mette in moto sensazioni, relazioni, analisi, ed è concepita come azione inclusiva di tutte le espressioni vitali, derivino esse dalla propria esperienza o da quella altrui. La sua azione, di conseguenza, riveste molteplici aspetti e abbraccia vari campi, dalla letteratura alla filosofia, dall’analisi sociologica alle arti plastiche (pittura, scultura, installazione). La sua energia in espansione deriva dalla capacità di dissociazione e introspezione che applica a se stesso prima di interessarsi agli altri, scoprendo nell’altro le motivazioni più intime. Un viaggio per esplorare l’animo umano nella sua complessità atavica e universale.
Opera in mostra
Les Innocents, 2000, installazione misure correlate all’ambiente (installazione originale, 11 x 9 m)
«Ci sono il filo spinato, i peluche, i banchi di scuola, una messa in scena certo tragica ma anche ludica, ho utilizzato il linguaggio degli estremi: l’infanzia e la morte, è la Shoah, naturalmente, ma anche una metafora dell’infanzia imprigionata… di tutti i bambini del mondo uccisi e feriti nella loro innocenza» (Julien Friedler)
L’installazione è una potente evocazione della prigionia che, nel corso della sua elaborazione, ha acquisito le caratteristiche di un campo di concentramento in cui il simbolo dell’infanzia violata e maltrattata raggiunge il ricordo del martirio del popolo ebreo. Tuttavia Friedler non esprime il desiderio di commentare, nessuna volontà di ricordare il destino del popolo ebreo… Egli vi vede un’universalità della sofferenza che da sempre si riproduce e si ripete nella follia e nella violenza degli uomini.